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| Titolo: Salvemini a BNP: «Il segreto del mio Bari era responsabilizzare ciascuno, se poi hai fuoriclasse come Joao Paolo…» Mar Dic 26, 2017 8:52 am | |
| Gaetano Salvemini è stato uno dei più stimati allenatori del Bari avendo ottenuto con i galletti dei traguardi davvero importanti come la promozione in Serie A nella stagione 1988/89 e la conquista nel 1990 della “Mitropa Cup”, unico trofeo internazionale presente al momento nella bacheca del club pugliese. La nostra redazione ha avuto il piacere e l’onore di averlo ai suoi microfoni.
Ben ritrovato mister, cosa prova a tornare a Bari? «E’ un piacere per me fare ritorno in questa terra. Lo faccio sempre in Estate e a Natale in quanto sono nativo di Molfetta ed ho qui i miei parenti. Sebbene abiti in Emilia, ogni tanto faccio questo viaggio molto volentieri. Il Bari l’ho sempre amato e rimane sempre nel mio cuore».
Venire a Bari è come tornare alle origini. Essendo molfettese e avendo scritto pagine importanti nella storia calcistica barese, come ci si sente in un certo qual modo ad aver smentito il detto “Nemo profeta in patria”? «Quando mi si è prospettata l’ipotesi di venire a Bari avevo già avuto diverse richieste e addirittura avevo già dato la mia parola ad un’altra società. A creare il presupposto che alla fine la mia scelta ricadesse però sulla piazza biancorossa è stata proprio questa mia ferma volontà di vincere nella mia terra e di smentire quella massima che hai appena citato».
Il suo Bari annoverava giocatori di prim’ordine come Monelli, Maiellaro, Di Gennaro. Non sempre sono però i grandi nomi a fare una squadra, nel suo caso, qual è stato il segreto? «Ho semplicemente affidato a ciascuno di loro una precisa responsabilità. In quella rosa c’erano giocatori che avevo fermamente voluto, alcuni erano già qui mentre altri li abbiamo comprati mirando alla qualità. La cosa più importante è stata che ogni calciatore credesse nelle proprie potenzialità perché erano all’altezza di poter vincere il campionato. In più abbiamo migliorato l’aspetto tecnico-tattico. Le cose poi vengono strada facendo e per noi è stato un grande vantaggio partire bene tant’è vero che in quel torneo perdemmo pochissime partite. E’ stato un autentico trionfo per me, ma soprattutto per i ragazzi che sono stati gli artefici di quell’impresa».
Si aspettava in quella stagione di poter raggiungere l’obiettivo della serie A? «Ritenevo la squadra all’altezza di vincere il campionato. Che poi potesse fare un cammino “abbastanza tranquillo”, senza tante sconfitte, non lo si poteva ipotizzare inizialmente. Avevo a disposizione dei giocatori molto bravi che erano all’altezza, ma non vorrei fare dei nomi, perché avevamo creato un gruppo davvero formidabile. All’interno della squadra c’erano delle sane rivalità che mi hanno favorito il compito. Quando infatti qualche elemento veniva a mancare, un altro si faceva già trovare pronto a rimpiazzare il compagno. Devo dire di essere stato anche fortunato nell’avere potuto contare su certi giocatori e questo lo devo anche alla società di allora: Vincenzo Matarrese e alla sua famiglia. E’ stato un presidente che mi ha sempre seguito in tutto quello che gli dicevo, anche senza sperperare grosse somme di denaro, venendomi incontro spedendo il giusto. Io poi ho cercato di viaggiare molto per osservare direttamente e con attenzione gli elementi da acquistare, in modo da poter scegliere quelli che ritenevo all’altezza della situazione. Non voglio fare tanti nomi, ma basta ricordarsi di un certo Joao Paolo…».
Che idea si è fatto invece del Bari di Fabio Grosso? «E’ una squadra che ha una buona potenzialità. Credo sia importante che ci sia consapevolezza e che i calciatori siano convinti della propria forza e delle proprie qualità in modo da metterle sul campo. Non ci si può sedere su un risultato. Purtroppo per vincere il campionato bisogna avere una serie continua di risultati e penso che il Bari di quest’anno sia all’altezza di poterlo fare».
Ci dica il ricordo più bello legato alla sua esperienza sulla panchina biancorossa… «Personalmente ritengo di potermi sentire fortunato di aver fatto l’ultimo campionato della storia del Bari allo stadio “della Vittoria” e di aver inaugurato il nuovo stadio. Nel vecchio impianto abbiamo conquistato la massima serie, mentre alla prima al “San Nicola” abbiamo disputato un’amichevole di prestigio contro il Milan battendo una squadra di campioni (per 2-0 con reti di Scarafoni e Monelli n.d.r.). Il mio ricordo di Bari è ancora molto forte e vivo, come pugliese ancora di più».
Il Bari sta per compiere 110 anni, che augurio si sente di fargli? «Certamente quello di continuare sulla strada che hanno già percorso in passato altri grandi giocatori che vestito questa maglia e che l’hanno onorata. A volte vincendo dei campionati e a volte raggiungendo delle salvezze a certi livelli. Bari è una città che merita di calcare grandi palcoscenici».
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